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lunedì 24 febbraio 2020

Ognuno ha il suo tempo

Ebbene sì, sono tornata a scrivere.

Come sta andando da quando ho preso la mia decisione? Non bene. Sto facendo fatica ad ambientarmi ad una nuova prospettiva della mia vita.

Mi sento una fallita. Ecco come mi sento.
Non so cosa voglio da me, non so cosa desidero, non so cosa mi appassiona, ma - come avevo scritto in alcuni post precedenti - da qualcosa dovevo pur iniziare.
E ho iniziato! Sbagliando di nuovo.
Il punto è che sento che è tutto troppo tardi. Troppo tardi per fare un'inversione di marcia sul mio futuro, iniziare una nuova università, troppo tardi per trovare cosa mi appassiona e a cosa voglio dedicare 8 ore al giorno per 5 giorni per chissà quanti anni. Troppo tardi per incontrare qualcuno e costruire qualcosa di buono, tutto troppo tardi.
Poi il punto è che continuo a paragonarmi con gli altri. Tutti almeno hanno un punto fermo nella vita, o qualcosa da cui partire. Sinceramente non sono capace a fregarmene e dire "Ehi, ognuno ha il suo tempo, io probabilmente avrò il mio anche se rispetto al tuo sono in ritardo, ma nella mia dimensione, ecco come gira il mio orologio". Il mio orologio non combacia con le aspettative che ho nella vita.

Mi sento ferma mentre vedo tutti andare avanti, in un modo o nell'altro. Crescere, realizzarsi, apprezzare quello che sta intorno, essere sereni.. Tutte componenti che in questo momento non sento di avere. Tutto cambia e io rimango ferma. Mi sento spettatrice del tempo che passa.

Mi piacerebbe a cambiare qualcosa di me, anche il più piccolo cambiamento sarebbe uno smuovermi da questa situazione di immobilità totale. E tutto viene di conseguenza.. Ma cosa sacrifico ancora? Cosa devo fare per apprezzare di più, fare di più e farmi scivolare tutte queste circostanze addosso? Cosa posso fare per raggiungere la serenità interiore che tanto cerco?
Sono partita da me, ho rinunciato alla mia relazione per questo.. Ma non basta. Nulla non è mai abbastanza, non mi sento mai abbastanza. Mi sento sempre un passo indietro, in una corsa contro il tempo. Mi sento come in quei sogni dove tenti di raggiungere qualcosa ma non riesci a muoverti.

Mi manco. Mi manco terribilmente. Mi manca essere me, tenace, entusiasta, frenetica, goffa, genuina. Mi manca credere in me stessa. Mi manca sentire che qualcuno credi in me. Sembra che nella vita abbia imparato solo una cosa: l'arte di perdere. Perdere le chiavi, perdere le foto, perdere le persone e, infine, perdere me.

Non tutti possono farcela nella vita... e se fossi una di queste?

mercoledì 29 gennaio 2020

Una serie di sfortunati eventi

Sono una persona negativa, vittimista, catastrofica, superstiziosa e chi più ne ha più ne metta. E ho un problema con l'ansia.
Questa è la storia di come la mia malattia ha vinto sull'ultimo anno della mia vita.

Sono sempre stata una ragazza proattiva, piena di entusiasmo e intraprendente. A prescindere dal mio vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto in tutte le cose. Mi lamentavo, mi abbattevo, ma mi sono sempre tirata su le maniche. Per citare una mia amica, sono sempre uscita dalle situazioni con le mie gambe, sebbene avessi qualche strascico. Questa volta non è così: sfortunatamente, se la natura del mio carattere è sempre stato un peso da portarsi dietro, con l'ansia invece è tutta un'altra storia. E' come avere una persona sempre accanto che ti sveglia nel bel mezzo della notte e ti continua a scuotere per non farti dormire. O che ti tira i pugni nello stomaco quando stai mangiando. Ti urla anche addosso quando stai tentando di concentrarti e ricordare e ovviamente, il risultato finale è molto scarso.
Questo è vivere con la Signora Ansia. Non è difficile sentirla nominare nelle conversazioni delle persone: "che ansia lo studio", "che ansia 'sta persona" eccetera eccetera. Il punto è, che noi ci giochiamo sopra, sembra che tutti ce l'abbiano, ma solo in pochi se la trascinano veramente per le sedici ore di veglia.

Ed è così che ho iniziato a stare male.
Avevo iniziato il 2018 con il botto: avevo iniziato ad andare da una psicoterapeuta, avevo realizzato che la relazione con il mio ex ragazzo era tossica e l'avevo lasciato. Nel mentre avevo il periodo esami da affrontare e la poca voglia di studiare. Ed è così che mi sono ritrovata. Ero stanca delle opinioni e giudizi che il mio ex mi aveva riversato addosso, dell'incapace che mi faceva sempre sentire e dei tradimenti che mi faceva subire.
Volevo scappare. Volevo andarmene il più lontano possibile da una città che vedevo ormai come stretta, che non mi offriva nulla se non brutti ricordi per relazioni negative. Volevo la mia indipendenza, affermarmi e uscire dalla mia confort-zone. Volevo ricominciare, da capo, con calma, partendo da me stessa. L'ansia in quel periodo era solo una neonata, non era capace di intendere e di volere ed era latente, nel mio corpo, controllata e schiacciata in un angolo del mio stomaco (è da lì che mi nasce). Ho iniziato a vivere. Viaggiavo, mi divertivo e sapevo che avrei mollato tutto per poter riscattarmi. Ed è così che ho rincontrato nel mio cammino Fabio, un ragazzo che avevo conosciuto in Università durante la mia triennale, che aveva vissuto in America negli ultimi quattro anni e che era stato sbattuto a Londra perché aveva perso il visto. Ed era incazzato, molto incazzato, voleva solo ritornare là e ricominciare a viversi la vita grandiosa di prima. E abbiamo fatto click. Due persone intraprendenti, attive, con una voglia di vivere immensa, hanno deciso di fare una pazzia e iniziare una storia a distanza. Ed è andato tutto bene fin quando l'ansia ha incominciato a crescere, fino a diventare un'adolescente.

Ero in Francia, in un paese sperduto a fare l'Erasmus e ho avuto un blocco. Dovevo cercare un tirocinio su cui avrei dovuto scrivere la mia Tesi di Magistrale. E il tirocinio doveva essere a Londra, in modo tale che mi potessi avvicinare a lui. E da lì sono iniziati i pianti, le grida isteriche e la frustrazione: non mi sentivo abbastanza brava da poter passare un'intervista per essere assunta temporaneamente. Crollo totale. Ho fatto tutti questi anni di università per capire che cosa in particolare? Che l'università non serviva un cazzo, che tutte le cose che ho imparato a memoria sono svanite nel nulla, che non mi ha insegnato nemmeno a fare un semplice esercizio di programmazione. Cosa cazzo ne sapevo io di programmazione? Di networking, di Python, di C++? Non ne sapevo - e so - nulla. E Fabio è stato un angelo, mi ha aiutata a fare i curriculum, mi ha preparata, su grandi linee, per le interviste e mi aveva dato un calcio in culo di supporto. E ho trovato il tirocinio. E sono riuscita a vivere in Inghilterra.

E voi mi dite, beh? Chi esce dall'università sapendo qualcosa? Chi fa bene le sue prime interviste?
Queste domande sono valide se ti confronti con persone normali che nella vita hanno fatto cose normali. Io mi confrontavo con un ragazzo che aveva finito l'università in America (e in Italia contemporaneamente) con un anno di anticipo, e che aveva trovato lavoro nella compagnia tech più importante al mondo in Silicon Valley il giorno dopo la laurea. E non è che queste possibilità gli sono piombate dal cielo (di sicuro i soldi per permettersi di vivere e studiare in America sì, se il cielo equivale ai genitori). Ma se li è guadagnati. E dall'altra parte vede una ragazza sconfortata che crede di non sapere un cazzo di quello che ha studiato e che non sa che cazzo farsene di una laurea in Ingegneria, dato che le fa cagare.

La convivenza va alla grande. Ci amiamo, ci viviamo ogni giorno. Ed adesso arriva il bello. Il bello è che mi chiede di vivere a San Francisco assieme a lui. Sapete, quando ho realizzato che mi ero innamorata di lui, mi sono immaginata a San Francisco, in una casa illuminata, piena di scatoloni con me e lui che tentavamo di sistemare le nostre cose mentre ridavamo. Per me davvero l'idea di andare a San Francisco era l'idea perfetta. E si parlava del 2018. Nel 2019, io ero appena tornata da un Erasmus in Francia, approdata in Inghilterra e iniziato la mia prima pseudo esperienza lavorativa, in cui ero in panico totale. Non mi sentivo capace e non mi sentivo abbastanza. Tornavo abbattuta a casa e molte volte cercavo di lavorare da casa per evitare di mettermi a confronto con un laboratorio pieno di geni. Ed era l'ultimo step importante per me per poter finire finalmente questa maledetta università. Volevo solo pensare a quello: vivere con Fabio, prendere la laurea e capire che cazzo fare della mia vita. Ma non potevo. Lui diventava sempre più pressante, mi diceva che volevano offrirgli un posto di lavoro in Inghilterra che era da favola per l'età che aveva lui, ma che ovviamente lo portava ad allontanarsi dall'America. Inizialmente l'ho sempre spinto a prendere la posizione manageriale, ma lui diceva che non gliene fregava un cazzo, che Londra gli faceva schifo e che voleva ritornarsene dall'altra parte del mondo. E io invece volevo solo pensare di tagliare il traguardo della laurea. Quindi ho iniziato ad evitare tutti i discorsi relativi agli USA e continuavo a torturarmi - da sola - l'autostima a lavoro. E infine la decisione doveva essere presa.

Quindi i discorsi erano due: o rimanevamo in Inghilterra un altro anno e mezzo, lui con una posizione da manager, e se riparlava più tardi o ce ne andavamo a San Francisco a Gennaio.
E voi mi direte: cazzo che figo! Vai! Muoviti! Prendila l'occasione!
Il punto è che mi ricadevano addosso due possibilità: quella di non far realizzare il sogno americano del mio ragazzo, e sentirmi responsabile della sua mancata realizzazione - per quanto erano in accordo entrambe le parti, e per quanto io penso che lui me l'avrebbe fatta pesare - o il provarci. E che ho fatto? Ho accettato di andare.
E da qua la mia ansia è diventata adulta, tirannica. Ha incominciato a schiacciarmi giorno per giorno, mi colpiva forte sullo stomaco al mattino e mi faceva venire i batticuore durante durante la giornata. Poi ha incominciato a impossessarsi dei miei piccoli lati positivi: si è portato via l'entusiasmo in primis, e non sono più riuscita a godermi le cose, sebbene prima facessi abbastanza fatica a farlo. Poi ha fatto subentrare la paura e ha risvegliato in me una delle fobie più grandi in assoluto, la paura di morire. E così si è presa anche la mia vita. Facevo (e faccio tutt'ora) fatica a fare le cose più comuni, come il prendere la metro a Londra, o il prendere il bus, ogni volta che entravo in Uber avevo paura che l'autista fosse un serial killer e mi volesse o ammazzare o stuprare. Ha reso ancora più invivibile la mia paura di prendere l'aereo, facendomi vomitare e camminare ininterrottamente per casa prima dei viaggi, che erano diretti o verso casa o verso Londra. La Paura mi sussurrava all'orecchio di non andare in discoteca perché avrebbe potuto succedere come a Parigi. E ogni volta che tentavo di combattere queste mie sofferenze, il cuore mi pulsava nelle orecchie, tremavo, mi veniva il panico, mi veniva da controllare le persone che erano accanto a me, per vedere se erano in procinto di fare qualcosa cosicché potessi scappare il più velocemente possibile. Non riuscivo ad andare al cinema perché avevo paura che un pazzo sarebbe entrato e avrebbe sparato in sala. E se ci andavo, controllavo tutte le persone che arrivano e si alzavano per andare chissà dove e le controllavo e dicevo a me stessa che non vedevo l'ora che finisse il film così che io potessi tornare a casa sana e salva. Dentro i mezzi pubblici, se potevo, mi rinchiudevo dentro i bagni per sentirmi più sicura.

E' vita questa? E' vita credere che tutto ciò che ti sta attorno è un pericolo e che te devi fare costantemente attenzione a quello che ti circonda?

Mi ha lentamente fatto morire dentro. E ancora adesso vivo ma non riesco a godermi nulla, con l'idea che tanto tutto può finire in un attimo e io non ho ancora vissuto abbastanza, avuto sufficienti esperienze, eppure me ne privo di tutte.

E quindi ho chiesto aiuto per questa ansia. Sono andata da un'altra psicoterapeuta e ho iniziato a capire il motivo per cui ce l'avessi. E non ne ho ricavato nulla. Fabio mi aveva detto che sarei dovuta andare dallo psichiatra, prendere due pastiglie e finirla lì. Ma io non volevo riempirmi di psicofarmaci per un motivo, ancora a me sconosciuto, ma da di cui sono consapevole che è più psicologico che fisico. E forse, anzi sicuramente, la maggior parte di questi effetti negativi sono dovuti alla partenza. Tutti se ne erano accorti tranne me. Tutti l'hanno capito tranne io. Fabio l'aveva intuito, ma preferiva non darci considerazione, altrimenti il suo sogno di andare in America assieme sarebbe crollato.

E quindi arriviamo al punto decisivo. Era talmente struggente l'ansia che avevo deciso di prendermi del tempo per me, risolvermi i miei problemi, e poi affrontare la questione dell'America più tardi. Ho preso pure un merdoso internship in Italia per poter iniziare anche a prendere confidenza nel mondo del lavoro e riuscire a capire almeno cosa (non) voglio.
Eppure questa cosa mi distruggeva. E mi distrugge. Presa la decisione di ritardare tutto, con una certa riluttanza e rabbia di Fabio, l'ansia non mi ha lasciato respiro. Appariva durante il giorno e mi continuava a dire che non era cosa per me andare in America. Non è cosa. Che non ce l'avrei mai fatta. Che se prendevo quell'aereo morivo. Che saremmo caduti in mezzo al pacifico. Che sarei arrivata là e in realtà mi sarei sentita sola. Che Fabio in realtà ha preso questa decisione non per me ma per sé stesso. E mi faccio film mentali. E più continuavo a ingoiarmi la situazione dell'America, più mi incattivivo, me la prendevo con lui per non darmi attenzioni, per guardare troppo verso questo progetto futuro, che per me era ancora remoto, e per lui così imminente, me la prendevo perché lui era arrabbiato con me, perché l'ho lasciato con il culo a terra, perché sarebbe dovuto partire da solo quando era una cosa che abbiamo progettato assieme, per quanto io non senta mia.

Ed eccomi qui. A perdere l'occasione della vita di vivere in America, farmi un'esperienza della madonna all'estero, dal punto di vista lavorativo e personale. A perdere il mio ragazzo, perché già ragazzi, l'ho perso. Non ce la faceva più. E di per sé non ce la faccio nemmeno io più di me stessa, ma ho talmente paura di morire che appena prendo una forbice per tagliarmi non faccio ferite troppo profonde. Ma, se ne avessi il coraggio, l'avrei chiusa molto tempo fa. Mi sarei uccisa molto tempo prima, perché tanto, quella che sto vivendo, non è vita.
Non è vita.
E lo amo ragazzi, e l'ansia e quindi io, di conseguenza, sto perdendo l'uomo perfetto per me perché non ci riesco. Non ci arrivo. Non so perché non ce la faccio, non so perché non voglio, non so perché ho questo blocco fisico. Non so perché mi vengono i dolori allo stomaco all'idea di prendere l'aereo, trasferirmi là, vivere la vita più bella con la persona che amo. E sarà perché ho paura di prendere l'aereo? E se fosse quella a bloccarmi? O la paura di mettermi in gioco? Magari non lo amo abbastanza? Ma l'amore si presenta davvero con l'inseguimento incondizionato?

Lui non mi vuole più. Chi vorrebbe una persona che vive con l'ansia tutti i giorni? Che pensa al suicidio ma non è in grado di far nemmeno quello? Che vuole realizzarsi lavorativamente ma non sacrifica un po' del suo tempo, dedicato a cazzate, per aprire un libro di programmazione? Che parla ma non agisce? Che vive ma non vive? Ma che persona sto diventando? Io non sono così, ma non riesco più a ritrovarmi e mi sento persa nel buio più totale. Non riesco nemmeno ancora a realizzarlo e al solo pensiero che Fabio non mi è più accanto mi rende vuota, apatica, mentre il pensiero che sto perdendo tutto perché ho un blocco, di cui non so nemmeno spiegare, irrazionale, inspiegabile, ma palpabile, di cui non so né la provenienza né perché ce l'ho, mi rende disperata, ma io ho bisogno di agire!!!! DEVO FAR QUALCOSA! DEVO CHIUDERE E DISTRUGGERE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO, DEVO!!!! Ma come cazzo faccio? COME FACCIO? Come faccio a sotterrare questo disagio, come faccio a risolvermi, come faccio a darmi una possibilità e non perdere il mio ragazzo?
Come faccio a superarmi? COME POSSO AFFRONTARE UNA SENSAZIONE IRRAZIONALE E DI DUBBIA PROVENIENZA PER VIVERE DI NUOVO? CHE COS'HO?????

venerdì 2 agosto 2019

Happy birthday to me

Domani, 3 agosto, farò 25 anni. 25 fottuti anni. Un quarto di secolo.
Cosa ho imparato?

Ho perso interesse nella vita. Non so che cosa voglio fare e mi sento persa. Dovrei prendere, avere voglia di vivere, viaggiare, cambiare il mondo, mentre io STO BENE e ripeto, STO BENE a casa. Nelle mura della mia cameretta. A non fare un cazzo. Scrollare Facebook o Instagram tutto il giorno per vedermi stronzate.

Anche il mio ragazzo l'ha notato. Mi chiede sempre che faccio e oggi, un giorno prima del mio compleanno, mi ha detto che dovrei cercare qualcosa che mi interessa di più o che almeno mi appassioni, anche se non centra un cazzo con il mio lavoro (che, attenzione attenzione, non mi interessa minimamente - strano, no?).
Non abbiamo litigato, mi ha aperto gli occhi. C'è qualcosa che non va in me e ciò che non va è il vittimismo cronico in cui sto vivendo da tantissimi anni. Perché lo faccio? Perché è l'unica cosa che mi mette sicurezza: dare colpa agli altri, a situazioni, a relazioni non fa altro che allontanare la responsabilità su di me. C'è un mio caro amico che mi ha detto: "sai, quando c'è una situazione che ti mette in difficoltà agisci in due modi: dai la colpa a qualcosa e cambi subito discorso". Mi ricordo anche che gli avevo dato ragione, ma ho dimenticato la soluzione a questo mio problema, che probabilmente mi ha dato, ma io ero troppo impegnata a trovare capri espiatori nella mia vita a cui dare la colpa per giustificare questo mio comportamento.

E adesso, la voce della verità: la persona con cui vivo assieme da 5 mesi, che mi ascolta tutti i giorni e che cerca di essermi di sostegno più di altra cosa al mondo si è fatta sentire. Basta, fai qualcosa della tua vita e cerca di cambiare questa tua abitudine. Mi ha anche consigliato esercizi mentali da fare in modo da poter migliorare questo mio difetto: ogni volta che faccio qualcosa di sbagliato, pensarci 5 minuti e chiedermi "come posso evitare di ricapitare di nuovo nella stessa situazione?", trovare la risposta e fine. Imparare dai miei sbagli. Facile no?

E' tutto così logico, ma la mia mente ha strani modi di lavorare e non riesco ad arrivare a queste soluzioni così straight-foward. Ovvie. Fai una cosa, pensaci e non farla più nel caso sia sbagliato. E allora mi chiedo, cosa porta la mia mente a ricercare colpe nel passato? Perché non riesco a prendermi responsabilità dei miei sbagli? Perché sono una persona di merda? Probabilmente sì.

Stavo ripensando, qualche giorno fa, a come mi comportavo quando ero alle medie. Ero una stronza colossale. Non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare a livelli così elevati. Mi ricordo che ero ad un compleanno di una mia amica, avevo saputo qualche giorno prima che lei mi aveva sparlato alle spalle e i miei amici di allora mi avevano subito riferito tutto ciò che lei aveva detto. Sapete che ho fatto? Ho preso carta e penna, scritto una lettera cattivissima con la complicità dei miei amici e gliel'ho letta ad alta voce durante la festa. Lei si era messa a piangere e io le avevo detto che era una brutta stronza. Ma chi era in realtà la stronza tra le due? Lei? I ragazzini si sparlano sempre alle spalle, con il senno di poi avrei detto a me di 13 anni di evitare di fare quella clamorosa stronzata e di far scivolare la situazione nel dimenticatoio. E invece no. La stronza ero e sono io.

Col passare degli anni, penso che il mio aspetto più stronzo si sia affievolito, e tutte le insicurezze che ho coperto tramite l'essere stronza e la più forte di tutti e il vittimismo siano diventate più forti che nemmeno quelle difese che mi ero costruita - e mi sto tutt'ora costruendo - siano abbastanza. Alla fine, i nodi vengono sempre al pettine. Il pettine in questo momento è il mio ragazzo attuale, il fatto che devo cercarmi un lavoro dopo l'Università e la mia mancanza di interesse verso il mondo.

Well, it is time to change. Non posso dire di non essermi circondata di persone interessati, il mio ragazzo si interessa di economia, politica, ingegneria, musica e cinema (anche se certe volte credo che manco lui sta credendo alle parole che sta dicendo), la mia migliore amica ha fatto una start-up, l'altra va in giro per la Russia a girare documentari e quell'altra ancora, che così tanto best-friend non è più, si è fatto comunque un mutuo per la casa e ha iniziato una radiosa carriera da giornalista.

E io che cazzo ho fatto? Ok, ho deciso di andare a vivere all'estero, 7 mesi spesi nella città buco di culo di Limoges, che non auguro a NESSUN Erasmus student di andare, e 5 mesi nella grigia Londra, che è una città piena di cose da fare ma costosa come la merda. Ok mi sto per laureare (si spera) ma cos'è che mi appassiona davvero? La psicologia davvero? Farmi i cazzi della gente?

Non è che non mi appassiona quello che sto facendo perché non sono naturalmente portata e mi costa fare sacrifici per quello e non ho minimamente voglia? Pigrizia totale?
Oh potrebbe essere. Ed è quella più quotata. Ma da qualcosa dovrò pur iniziare.

Si inizia.

sabato 15 giugno 2019

Lontana da casa

Oggi sono 9 mesi che abito in uno Stato diverso dall'Italia.
Mi si è presentata l'occasione di andare a vivere in America, a non so quanti chilometri da casa. L'idea mi alletta, ho voglia di provare a vivere in una nuova città e, per come ne ho sentito parlare, San Francisco è Disneyland per gli adulti. Oltretutto è un posto eccezionale per avere una prima esperienza lavorativa. Non sarei da sola, ma comunque l'idea di andare a vivere a 13 ore di aereo da casa mi mette l'ansia. Come posso riuscire a vivere con così tante ore dai miei genitori e dai miei amici? Ho una paura fottuta che qualcosa possa andare male e io non abbia qualcuno a cui fare riferimento.

Ecco i problemi: soffro di ansia, crisi di panico, ipocondria e in tutto ciò ho pure paura dei cambiamenti. Non ho la più pallida idea di come posso risolverli (soprattutto i primi 3, dato che me li trascino da tutta una vita), ma qua a Londra posso ancora alzare la cornetta e chiedere ai miei genitori di venire, da un giorno all'altro, nel caso di bisogno. Se sono così distante come farò? Sarà l'ora di crescere e di prendere il toro dalle corna, ma il punto è che andare da una psicoterapeuta in America non è il massimo. Non tanto per il costo, ma più che altro perché è difficile esprimersi in un'altra lingua. Era già difficile in italiano, figurati in inglese!

La paura dei cambiamenti invece me la porto dietro da 3 anni. Dopo la relazione con quel maledetto ragazzo, che diciamolo, mi ha stravolto la vita, ho sempre paura di prendere decisioni per poi prenderle nel culo. Poi per carità, non diamo tutta la colpa a quell'altro perché non sarebbe davvero giusto, ho già una predisposizione all'opposizione dei cambiamenti, ma sicuramente, quella relazione malsana non mi ha davvero aiutato, anzi, mi ha insegnato a non fidarmi del mio istinto perché, in sostanza, non ci capisce un cazzo.

Quindi farò una lista dei pro e contro di Londra e San Francisco.
San Francisco. Pro: mi dà un'esperienza lavorativa fuori dal comune, città che offre mille possibilità, eventi, feste, dove la maggior parte degli abitanti è tra i 25 e 40 anni. Vivo con il mio ragazzo. Conosco un po' di persone, sebbene siano amici del mio ragazzo. Vivo vicino al mare e il tempo è abbastanza bello tutto l'anno. Contro: vivo lontano da casa, sensi di colpa nei confronti dei miei genitori, paura di perdere i pochi amici in Italia, paura di non riuscire a realizzarmi, sia dal punto lavorativo che personale (farsi nuovi amici, per esempio).
Londra. Pro: sono vicina a casa e amici, tutti possono venirmi a trovare un weekend, città che offre molto (essendo una capitale), vivo comunque con il mio ragazzo
Contro: tutto molto costoso, città alienante e che ti rende sola, pochi amici, non guadagni molti soldi rispetto a quanto in realtà la città ti chiede, tempo di merda.

Come superare l'ansia di essere dall'altra parte del mondo e con solo una persona su cui contare?
Avrei proprio bisogno di avere le idee chiare. Un'illuminazione...

lunedì 28 gennaio 2019

Starting from the bottom

Le cose non stanno di nuovo (strano ma vero!) andando come previsto.
Credevo che entrambi volessimo la stessa cosa ma a questo punto non è così. La cosa che mi fa più ridere è che comunque trovo lo stesso tipo di persona ma con cornici diverse: chi è frustrato con la famiglia, chi con il lavoro o chi si mostra dall'inizio per quello che è.

Alla fine non credo di avere una buona intuizione. Ma questa cosa l'ho già detta e stra-detta nei mesi passati. Se tu che mi segui leggi le mie bozze-ribrezzo lo saprai.

martedì 15 gennaio 2019

Self-centered

Sono io troppo concentrata su me stessa?
Se mi pongo dei quesiti è perché mi sto rendendo conto che ho un problema o perché penso che gli altri non mi diano il giusto peso?

Mi odio. Da morire. E più vado avanti così, più trovo conferme nella vita.
Ho sempre sognato ad occhi aperti e continuo tutt'ora a farlo, sperando che la vita mi offra qualcosa in discesa. Con questo non sto dicendo che ho avuto difficoltà enormi, ma che nulla mi è stato regalato. Mai. Non ho avuto l'intelligenza, l'astuzia o l'intuizione, non sono stati doni che ho avuto fin dalla nascita, ho dovuto costruirli. Non sono mai stata una bambina intelligente. Mi sono dovuta alzare le maniche e studiare. Non mi ho una memoria fotografica, perciò sono costretta a mettermi in posizioni scomode, scrivermi gli schemi su pagine bianche e ripetere ad alta voce come una macchinetta. Ho una memoria acustica e molte volte ripetendo dico parole diverse solo perché suonano sonoramente allo stesso modo. Dislessia portami via, in sostanza.
L'intuizione non mi è stata utile nemmeno in campo personale. Partendo dal presupposto che nei miei 24 anni, ho sempre avuto relazioni di merda, forse questa che sto avendo potrebbe andare in porto e "vivere felice e contenta", ma dal momento in cui la mia intuizione fa schifo non ne sono nemmeno più così sicura. Non contando gli amici. Ci sono persone che hanno amici fin dall'infanzia, da quando sono all'asilo nido e poi, passano gli anni, si va al liceo, all'università, anche non nella stessa, ci si sposa, si va ai matrimoni e ci si incontra tutti i sabati nello stesso pub alla "How I met your mother". E tu, che stai leggendo, probabilmente hai avuto la stessa esperienza e ti chiedi "Beh, è così difficile? Tutti ce l'hanno."
Sbagliato.
Io no. Posso contare i miei amici su due mani, se proprio voglio esagerare, e oltretutto non sono nemmeno perfetti. Ma mi accontento. Mi hanno sempre detto che aspirare a qualcosa sopra le proprie capacità scaturisce arroganza e sopravvalutazione. E io non voglio esserlo. E quindi mi sono fermata. Anche perché in questi pochi 24 anni posso dire di essere piaciuta al 20% della gente che ho conosciuto, di cui l'1% è ancora mia amica. Great.
Non per altro sono sempre stata bullizzata. Poi ho deciso di battere il cosiddetto "bullismo" con l'autoironia e sarcasmo ed effettivamente non ci sono stata più male. Un po' perché dopo 16 anni incominci a mettere un po' di sale nel cervello e i teenagers capiscono che bullizzare serve a poco e niente, un po' perché non avevo più voglia di ascoltare e volevo stare bene.
Non per altro mi sono adeguata alla massa: studia, fai cose stupide, scopa più che puoi, fatti le canne, bevi, suona qualcosa che fa figo e viaggia. Alla fine queste piccole - eppure così grandi - cose sono l'apice della felicità per un millenian. E ti dirò, lo era anche per me. Sebbene in quel periodo mi beccassi della puttana da persone sconosciute, dai migliori amici e anche dai parenti, come ho già scritto, non avevo voglia di ascoltare e mi volevo solo adeguare.
I miei genitori mi hanno insegnato che essere particolare e avere un carattere spiccante non sempre ti aiuta, ma anzi, ti crea solo nemici. Vedi bullismo o ignoranza - non perché non conoscevano, ma proprio perché mi ignoravano - dei professori di fronte alla mia sofferenza. Perché stavo anche a loro sul cazzo, quindi perché aiutarmi.
E poi arrivi all'università, nuovo ambiente, nuovi amici - come ho già detto, tutti quelli di vecchia data li ho persi per strada e quindi mi sono dovuta ricostruire una vita - e via di nuovo con il solito ciclo: studia, divertiti, tromba, bevi, fuma e quando puoi pensa.
Alla fine a furia di non pensare mi sono ritrovata a 24 anni con un ragazzo che, per quanto ami e fantastico sia, non prova empatia per la mia desolazione; un'università che alla fine non mi ha insegnato un cazzo, e di conseguenza non riesco a trovare uno stage pagato - perché un internship l'ho trovato, ma lavoro gratuitamente e quindi non mi garantisce una fottuta a casa a Londra - e gli stage pagati se li prendono le persone risolute, geni, intuitive, dinamiche e curiose: tutte cose che a quanto pare non mi appartengono più - quando ero più cretina mi appartenevano ma vedi tutti i casini che ho combinato; un Erasmus che non mi ha dato un cazzo; quei pochi amici a 850km di distanza che oltretutto pensano ai cazzi loro, come giusto che sia, e anche se l'ho già menzionato, un ragazzo che pensa che il mio malessere sia solo frutto di vittimismo e non sia reale.
Beh, che dire. Mi sento un po' come quando ero bambina, avevo la febbre o la dissenteria o qualsiasi altra malattia e mia madre mi mandava comunque a scuola perché diceva che stessi fingendo. E alla fine mi cagavo addosso davanti a tutta la classe perché effettivamente stavo di merda. Allora mia madre mi veniva a prendere e mi beccavo pure botte perché mi sono azzardata a stare male - o a cagarmi nei pantaloni davanti a tutti.
Non so se ho reso l'idea in questo bellissimo e scritto in un modo così sinteticamente corretto - e ovviamente sono ironica, perché credo di non essere capace a fare nemmeno questo - stream of consciousness alla Virginia Woolf. Non credo di potermi paragonare a lei dato che è stata la persona più femminista e caratteristica del suo secolo. Stream of consciousness. Senza Virginia Woolf.

E magari spero che tu, tu che stai leggendo questo pezzo mi conosca. E spero che sia te. E spero che per una volta capirai cosa voglia dire vivere nel malessere tra quesiti, sensi di colpa e incapacità. Spero che tu provi empatia. O spero che provi disgusto. Ma almeno qualcosa la provi. Piuttosto che essere annoiato mentre leggi questa marea di puttanate e ti chiedi "Ma perché cazzo sono ancora qua a leggerlo e ad aver a che fare con te". Lo comprenderei.

Adesso scusa, ma ho un film di merda da finire. Manco questo sono riuscita a sceglierlo bene.
Ti saluto.

Mi dispiace non essere l'idea che ti sei costruito di me.