Sono una persona negativa, vittimista, catastrofica, superstiziosa e chi più ne ha più ne metta. E ho un problema con l'ansia.
Questa è la storia di come la mia malattia ha vinto sull'ultimo anno della mia vita.
Sono sempre stata una ragazza proattiva, piena di entusiasmo e intraprendente. A prescindere dal mio vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto in tutte le cose. Mi lamentavo, mi abbattevo, ma mi sono sempre tirata su le maniche. Per citare una mia amica, sono sempre uscita dalle situazioni con le mie gambe, sebbene avessi qualche strascico. Questa volta non è così: sfortunatamente, se la natura del mio carattere è sempre stato un peso da portarsi dietro, con l'ansia invece è tutta un'altra storia. E' come avere una persona sempre accanto che ti sveglia nel bel mezzo della notte e ti continua a scuotere per non farti dormire. O che ti tira i pugni nello stomaco quando stai mangiando. Ti urla anche addosso quando stai tentando di concentrarti e ricordare e ovviamente, il risultato finale è molto scarso.
Questo è vivere con la Signora Ansia. Non è difficile sentirla nominare nelle conversazioni delle persone: "che ansia lo studio", "che ansia 'sta persona" eccetera eccetera. Il punto è, che noi ci giochiamo sopra, sembra che tutti ce l'abbiano, ma solo in pochi se la trascinano veramente per le sedici ore di veglia.
Ed è così che ho iniziato a stare male.
Avevo iniziato il 2018 con il botto: avevo iniziato ad andare da una psicoterapeuta, avevo realizzato che la relazione con il mio ex ragazzo era tossica e l'avevo lasciato. Nel mentre avevo il periodo esami da affrontare e la poca voglia di studiare. Ed è così che mi sono ritrovata. Ero stanca delle opinioni e giudizi che il mio ex mi aveva riversato addosso, dell'incapace che mi faceva sempre sentire e dei tradimenti che mi faceva subire.
Volevo scappare. Volevo andarmene il più lontano possibile da una città che vedevo ormai come stretta, che non mi offriva nulla se non brutti ricordi per relazioni negative. Volevo la mia indipendenza, affermarmi e uscire dalla mia confort-zone. Volevo ricominciare, da capo, con calma, partendo da me stessa. L'ansia in quel periodo era solo una neonata, non era capace di intendere e di volere ed era latente, nel mio corpo, controllata e schiacciata in un angolo del mio stomaco (è da lì che mi nasce). Ho iniziato a vivere. Viaggiavo, mi divertivo e sapevo che avrei mollato tutto per poter riscattarmi. Ed è così che ho rincontrato nel mio cammino Fabio, un ragazzo che avevo conosciuto in Università durante la mia triennale, che aveva vissuto in America negli ultimi quattro anni e che era stato sbattuto a Londra perché aveva perso il visto. Ed era incazzato, molto incazzato, voleva solo ritornare là e ricominciare a viversi la vita grandiosa di prima. E abbiamo fatto click. Due persone intraprendenti, attive, con una voglia di vivere immensa, hanno deciso di fare una pazzia e iniziare una storia a distanza. Ed è andato tutto bene fin quando l'ansia ha incominciato a crescere, fino a diventare un'adolescente.
Ero in Francia, in un paese sperduto a fare l'Erasmus e ho avuto un blocco. Dovevo cercare un tirocinio su cui avrei dovuto scrivere la mia Tesi di Magistrale. E il tirocinio doveva essere a Londra, in modo tale che mi potessi avvicinare a lui. E da lì sono iniziati i pianti, le grida isteriche e la frustrazione: non mi sentivo abbastanza brava da poter passare un'intervista per essere assunta temporaneamente. Crollo totale. Ho fatto tutti questi anni di università per capire che cosa in particolare? Che l'università non serviva un cazzo, che tutte le cose che ho imparato a memoria sono svanite nel nulla, che non mi ha insegnato nemmeno a fare un semplice esercizio di programmazione. Cosa cazzo ne sapevo io di programmazione? Di networking, di Python, di C++? Non ne sapevo - e so - nulla. E Fabio è stato un angelo, mi ha aiutata a fare i curriculum, mi ha preparata, su grandi linee, per le interviste e mi aveva dato un calcio in culo di supporto. E ho trovato il tirocinio. E sono riuscita a vivere in Inghilterra.
E voi mi dite, beh? Chi esce dall'università sapendo qualcosa? Chi fa bene le sue prime interviste?
Queste domande sono valide se ti confronti con persone normali che nella vita hanno fatto cose normali. Io mi confrontavo con un ragazzo che aveva finito l'università in America (e in Italia contemporaneamente) con un anno di anticipo, e che aveva trovato lavoro nella compagnia tech più importante al mondo in Silicon Valley il giorno dopo la laurea. E non è che queste possibilità gli sono piombate dal cielo (di sicuro i soldi per permettersi di vivere e studiare in America sì, se il cielo equivale ai genitori). Ma se li è guadagnati. E dall'altra parte vede una ragazza sconfortata che crede di non sapere un cazzo di quello che ha studiato e che non sa che cazzo farsene di una laurea in Ingegneria, dato che le fa cagare.
La convivenza va alla grande. Ci amiamo, ci viviamo ogni giorno. Ed adesso arriva il bello. Il bello è che mi chiede di vivere a San Francisco assieme a lui. Sapete, quando ho realizzato che mi ero innamorata di lui, mi sono immaginata a San Francisco, in una casa illuminata, piena di scatoloni con me e lui che tentavamo di sistemare le nostre cose mentre ridavamo. Per me davvero l'idea di andare a San Francisco era l'idea perfetta. E si parlava del 2018. Nel 2019, io ero appena tornata da un Erasmus in Francia, approdata in Inghilterra e iniziato la mia prima pseudo esperienza lavorativa, in cui ero in panico totale. Non mi sentivo capace e non mi sentivo abbastanza. Tornavo abbattuta a casa e molte volte cercavo di lavorare da casa per evitare di mettermi a confronto con un laboratorio pieno di geni. Ed era l'ultimo step importante per me per poter finire finalmente questa maledetta università. Volevo solo pensare a quello: vivere con Fabio, prendere la laurea e capire che cazzo fare della mia vita. Ma non potevo. Lui diventava sempre più pressante, mi diceva che volevano offrirgli un posto di lavoro in Inghilterra che era da favola per l'età che aveva lui, ma che ovviamente lo portava ad allontanarsi dall'America. Inizialmente l'ho sempre spinto a prendere la posizione manageriale, ma lui diceva che non gliene fregava un cazzo, che Londra gli faceva schifo e che voleva ritornarsene dall'altra parte del mondo. E io invece volevo solo pensare di tagliare il traguardo della laurea. Quindi ho iniziato ad evitare tutti i discorsi relativi agli USA e continuavo a torturarmi - da sola - l'autostima a lavoro. E infine la decisione doveva essere presa.
Quindi i discorsi erano due: o rimanevamo in Inghilterra un altro anno e mezzo, lui con una posizione da manager, e se riparlava più tardi o ce ne andavamo a San Francisco a Gennaio.
E voi mi direte: cazzo che figo! Vai! Muoviti! Prendila l'occasione!
Il punto è che mi ricadevano addosso due possibilità: quella di non far realizzare il sogno americano del mio ragazzo, e sentirmi responsabile della sua mancata realizzazione - per quanto erano in accordo entrambe le parti, e per quanto io penso che lui me l'avrebbe fatta pesare - o il provarci. E che ho fatto? Ho accettato di andare.
E da qua la mia ansia è diventata adulta, tirannica. Ha incominciato a schiacciarmi giorno per giorno, mi colpiva forte sullo stomaco al mattino e mi faceva venire i batticuore durante durante la giornata. Poi ha incominciato a impossessarsi dei miei piccoli lati positivi: si è portato via l'entusiasmo in primis, e non sono più riuscita a godermi le cose, sebbene prima facessi abbastanza fatica a farlo. Poi ha fatto subentrare la paura e ha risvegliato in me una delle fobie più grandi in assoluto, la paura di morire. E così si è presa anche la mia vita. Facevo (e faccio tutt'ora) fatica a fare le cose più comuni, come il prendere la metro a Londra, o il prendere il bus, ogni volta che entravo in Uber avevo paura che l'autista fosse un serial killer e mi volesse o ammazzare o stuprare. Ha reso ancora più invivibile la mia paura di prendere l'aereo, facendomi vomitare e camminare ininterrottamente per casa prima dei viaggi, che erano diretti o verso casa o verso Londra. La Paura mi sussurrava all'orecchio di non andare in discoteca perché avrebbe potuto succedere come a Parigi. E ogni volta che tentavo di combattere queste mie sofferenze, il cuore mi pulsava nelle orecchie, tremavo, mi veniva il panico, mi veniva da controllare le persone che erano accanto a me, per vedere se erano in procinto di fare qualcosa cosicché potessi scappare il più velocemente possibile. Non riuscivo ad andare al cinema perché avevo paura che un pazzo sarebbe entrato e avrebbe sparato in sala. E se ci andavo, controllavo tutte le persone che arrivano e si alzavano per andare chissà dove e le controllavo e dicevo a me stessa che non vedevo l'ora che finisse il film così che io potessi tornare a casa sana e salva. Dentro i mezzi pubblici, se potevo, mi rinchiudevo dentro i bagni per sentirmi più sicura.
E' vita questa? E' vita credere che tutto ciò che ti sta attorno è un pericolo e che te devi fare costantemente attenzione a quello che ti circonda?
Mi ha lentamente fatto morire dentro. E ancora adesso vivo ma non riesco a godermi nulla, con l'idea che tanto tutto può finire in un attimo e io non ho ancora vissuto abbastanza, avuto sufficienti esperienze, eppure me ne privo di tutte.
E quindi ho chiesto aiuto per questa ansia. Sono andata da un'altra psicoterapeuta e ho iniziato a capire il motivo per cui ce l'avessi. E non ne ho ricavato nulla. Fabio mi aveva detto che sarei dovuta andare dallo psichiatra, prendere due pastiglie e finirla lì. Ma io non volevo riempirmi di psicofarmaci per un motivo, ancora a me sconosciuto, ma da di cui sono consapevole che è più psicologico che fisico. E forse, anzi sicuramente, la maggior parte di questi effetti negativi sono dovuti alla partenza. Tutti se ne erano accorti tranne me. Tutti l'hanno capito tranne io. Fabio l'aveva intuito, ma preferiva non darci considerazione, altrimenti il suo sogno di andare in America assieme sarebbe crollato.
E quindi arriviamo al punto decisivo. Era talmente struggente l'ansia che avevo deciso di prendermi del tempo per me, risolvermi i miei problemi, e poi affrontare la questione dell'America più tardi. Ho preso pure un merdoso internship in Italia per poter iniziare anche a prendere confidenza nel mondo del lavoro e riuscire a capire almeno cosa (non) voglio.
Eppure questa cosa mi distruggeva. E mi distrugge. Presa la decisione di ritardare tutto, con una certa riluttanza e rabbia di Fabio, l'ansia non mi ha lasciato respiro. Appariva durante il giorno e mi continuava a dire che non era cosa per me andare in America. Non è cosa. Che non ce l'avrei mai fatta. Che se prendevo quell'aereo morivo. Che saremmo caduti in mezzo al pacifico. Che sarei arrivata là e in realtà mi sarei sentita sola. Che Fabio in realtà ha preso questa decisione non per me ma per sé stesso. E mi faccio film mentali. E più continuavo a ingoiarmi la situazione dell'America, più mi incattivivo, me la prendevo con lui per non darmi attenzioni, per guardare troppo verso questo progetto futuro, che per me era ancora remoto, e per lui così imminente, me la prendevo perché lui era arrabbiato con me, perché l'ho lasciato con il culo a terra, perché sarebbe dovuto partire da solo quando era una cosa che abbiamo progettato assieme, per quanto io non senta mia.
Ed eccomi qui. A perdere l'occasione della vita di vivere in America, farmi un'esperienza della madonna all'estero, dal punto di vista lavorativo e personale. A perdere il mio ragazzo, perché già ragazzi, l'ho perso. Non ce la faceva più. E di per sé non ce la faccio nemmeno io più di me stessa, ma ho talmente paura di morire che appena prendo una forbice per tagliarmi non faccio ferite troppo profonde. Ma, se ne avessi il coraggio, l'avrei chiusa molto tempo fa. Mi sarei uccisa molto tempo prima, perché tanto, quella che sto vivendo, non è vita.
Non è vita.
E lo amo ragazzi, e l'ansia e quindi io, di conseguenza, sto perdendo l'uomo perfetto per me perché non ci riesco. Non ci arrivo. Non so perché non ce la faccio, non so perché non voglio, non so perché ho questo blocco fisico. Non so perché mi vengono i dolori allo stomaco all'idea di prendere l'aereo, trasferirmi là, vivere la vita più bella con la persona che amo. E sarà perché ho paura di prendere l'aereo? E se fosse quella a bloccarmi? O la paura di mettermi in gioco? Magari non lo amo abbastanza? Ma l'amore si presenta davvero con l'inseguimento incondizionato?
Lui non mi vuole più. Chi vorrebbe una persona che vive con l'ansia tutti i giorni? Che pensa al suicidio ma non è in grado di far nemmeno quello? Che vuole realizzarsi lavorativamente ma non sacrifica un po' del suo tempo, dedicato a cazzate, per aprire un libro di programmazione? Che parla ma non agisce? Che vive ma non vive? Ma che persona sto diventando? Io non sono così, ma non riesco più a ritrovarmi e mi sento persa nel buio più totale. Non riesco nemmeno ancora a realizzarlo e al solo pensiero che Fabio non mi è più accanto mi rende vuota, apatica, mentre il pensiero che sto perdendo tutto perché ho un blocco, di cui non so nemmeno spiegare, irrazionale, inspiegabile, ma palpabile, di cui non so né la provenienza né perché ce l'ho, mi rende disperata, ma io ho bisogno di agire!!!! DEVO FAR QUALCOSA! DEVO CHIUDERE E DISTRUGGERE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO, DEVO!!!! Ma come cazzo faccio? COME FACCIO? Come faccio a sotterrare questo disagio, come faccio a risolvermi, come faccio a darmi una possibilità e non perdere il mio ragazzo?
Come faccio a superarmi? COME POSSO AFFRONTARE UNA SENSAZIONE IRRAZIONALE E DI DUBBIA PROVENIENZA PER VIVERE DI NUOVO? CHE COS'HO?????